
Obiettivo 1; diminuire la popolazione carceraria
Da un punto di vista sia sociale ma anche e soprattutto giuridico, l'alternativa più valida alla risoluzione, o quanto meno trattamento della problematica del sovraffollamento, permane il potenziamento delle misure alternative. Queste diverse modalità di esecuzione penale, prevedono delle limitazioni alla libertà personale che non sono determinate dalle mura di un Istituto penitenziario, ma da prescrizioni di varia natura decise dalla Magistratura di Sorveglianza anche su proposta degli Uffici dell'Esecuzione Penale Esterna.
Gli Uffici dell'Esecuzione Penale Esterna, organi periferici dell'Amministrazione Penitenziaria, oltre a svolgere attività di controllo e vigilanza, hanno il compito di favorire il reinserimento sociale delle persone condannate; coniugano, pertanto, le richieste di sicurezza sociale con quelle di umanizzazione della pena, unendo le esigenze di difesa sociale con quelle di trattamento socioeducativo e di prevenzione della recidiva. La recidiva della nostra popolazione carceraria è stimata essere intorno al 70% mentre quella della popolazione in misura alternativa è circa la metà, e in alcune aree particolari, è al di sotto del 20%. Se ne può dedurre che è la stessa condizione della esecuzione penale fuori dal carcere a porre "di per sé" le basi per un recupero sociale molto più efficace per questa tipologia di condannati.

Ne discende la necessità
che l'esecuzione penale esterna al carcere venga curata da servizi ben inseriti
nel territorio, in grado di investire anche risorse nella gestione diretta del
progetto che viene approvato dall'Autorità Giudiziaria, servizi capaci
all'occorrenza di promuovere sul territorio l'accettazione del condannato in
prova, perché se nei confronti di un minore è facile incontrare una buona
disposizione a "metterlo alla prova", altrettanta disponibilità spesso non si
trova per l'adulto, specie in questo momento storico incline alla " tolleranza
zero". In tal senso possiamo effettuare una riflessione in merito
all'introduzione del lavoro di pubblica utilità, già nell'ambito
dell'affidamento in prova al servizio sociale molti Uffici U.E.P.E. svolgono
un'intensa attività di promozione sul territorio, presso enti locali e
associazioni di volontariato, al fine di rendere possibile lo svolgimento
dell'attività di riparazione a favore dell'affidato. Peraltro, lo svolgimento
di un'attività di pubblica utilità dovrebbe configurarsi, più che come un
obbligo accessorio della messa alla prova, come il risultato di un processo di
presa di coscienza da parte dell'autore del reato rispetto ai danni causati dal
suo agire. Una riorganizzazione delle misure alternative alla detenzione,
dunque, richiede un continuativo impegno della politica, dei Tribunali e della
Pubblica Amministrazione nel promuovere presso l'opinione pubblica l'idea che
il carcere non è l'unica esperienza penale possibile né tantomeno utile. L'accesso
a concrete opportunità di lavoro per i detenuti costituisce un'indispensabili
risorsa perché le carceri italiane non si trasformino in un enorme parcheggio
per futuri (e pericolosi) diseredati. Il fatto di favorire l'accesso al lavoro
e lo svolgimento di lavori di pubblica utilità insieme possono costituire una
valida ragione sociale e un'occasione di rilancio delle misure alternative alla
detenzione. Lo stesso articolo 27 della costituzione non fa riferimento ad
un'unica tipologia di pena, ma ribadisce l'aspetto rieducativo di questo, che
può appunto essere ottenuto non solo con l'applicazione della comune pena
detentiv